Fabrizio Curcio: Oggi Protezione Civile significa prevenire, piuttosto che gestire emergenze

Fabrizio Curcio a Napoli, durante il convegno del maggio 2018

Nel febbraio 2021 Fabrizio Curcio è tornato al vertice della Protezione civile, Fabrizio Curcio, 56 anni, ingegnere, è stato capo del Dipartimento della Protezione dal 2015 al 2017, Governo Gentiloni, quando lasciò per ragioni personali. Funzionario dei vigili del fuoco, nel 1997 intervenne sul terremoto dell’Umbria e delle Marche. E’ arrivato alla Protezione civile nel 2007, chiamato da Guido Bertolaso. Il notiziario dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli ripropone un’intervista rilasciata da Curcio a maggio del 2018, in occasione di un convegno organizzato nell’auditorium della Regione Campania, intervista i cui contenuti sono ancora di stringente attualità

Attrezzarsi per la prevenzione ancor prima che per fronteggiare le emergenze: è uno dei criteri ispiratori del decreto legislativo numero 1, del 2 gennaio di quest’anno che segna il varo del nuovo Codice della Protezione Civile”. Lo evidenzia l’ingegner Fabrizio Curcio, fino all’agosto dello scorso anno Capo del Dipartimento della Protezione Civile in Italia e attualmente consigliere della Presidenza del Consiglio in materia di Protezione Civile. Curcio è intervenuto nei giorni scorsi nella sede della Regione Campania al Centro direzionale di Napoli a un convegno per la presentazione del progetto Protezione Civile 2.0 – Comune Sicuro (nell’immagine qui sopra un momento del suo intervento).
Il progetto Protezione Civile 2.0 – Comune Sicuro punta al varo di Piani comunali di protezione civile condivisi e concertati con i cittadini e presuppone un maggior livello di informazione, responsabilità e consapevolezza di questi ultimi, anche grazie a tecnologie innovative. All’Ufficio Stampa dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli Fabrizio Curcio ha rilasciato l’intervista che segue.

Ingegner Curcio, lei ha contribuito alla messa a punto del nuovo codice di Protezione Civile, quali sono gli elementi più qualificanti di questo testo, che attua la legge delega 30 del 2017?

Il nuovo codice si inserisce nella normativa consolidata in materia di protezione civile partendo dalla legge 225 del 1992 e attualizzandone i contenuti alla luce dei numerosi eventi che hanno colpito il nostro Paese e delle mutate condizioni sociali, economiche e organizzative. Le novità introdotte sono molte, tra cui mi preme sottolineare, ad esempio, la differenziazione tra la linea politica e quella amministrativa/operativa ai differenti livello di governo territoriale; il miglioramento della definizione della catena di comando e di controllo in emergenza in funzione delle diverse tipologie di emergenze;  la definizione delle attività di pianificazione per individuare a livello territoriale gli ambiti ottimali per garantire l’effettività delle funzioni di protezione civile. Un altro elemento di novità è l’emergere della responsabilità del cittadino come soggetto attivo rispetto alle indicazioni date dalle autorità di protezione civile ai diversi livelli. Si tratta di modifiche diverse tra loro, alcune relative alla governance, altre all’operatività o al tema della partecipazione, ma accomunate da una premessa importante: ossia che la Protezione Civile è una funzione naturalmente policentrica che, a seconda delle circostanze, va esercitata con flessibilità dai vari soggetti coinvolti, a livello centrale e locale.

Che cosa comporta, per esemplificare, la differenziazione tra linea politica e tecnica?

Significa rendere più chiari e più concreti i ruoli di ciascuno, e quindi dare gambe e braccia alla funzione di protezione civile ai diversi livelli. Faccio un esempio: al sindaco si attribuivano in precedenza obblighi e responsabilità molto ampie in qualità di autorità di protezione civile. Oggi la legge dice: tu sindaco hai delle responsabilità di tipo politico, cioè devi mettere in condizione la tua struttura tecnica di operare, ad esempio fornendone gli strumenti economico-finanziari e organizzativi; poi la struttura tecnica ha l’obbligo e la responsabilità di attivarsi di conseguenza. Ho fatto un esempio schematico, l’applicazione può essere ovviamente ben più complessa. Ma il criterio di base è questo.

Un sistema del genere non comporta il rischio di un’eccessiva frammentazione, ossia “tutti responsabili, quindi nessun responsabile”?
No, perché la legge è molto puntuale nell’attribuire obblighi e funzioni all’interno di quello che è un sistema complesso. E ciò malgrado il decreto sia un testo piuttosto agile: si compone infatti solo di 50 articoli, non molti per un Codice che raccoglie una disciplina così ampia.

Gli amministratori locali sono pronti a questa nuova impostazione?
Nelle amministrazioni locali ci sono punte di eccellenza, ma anche realtà che hanno bisogno di essere accompagnate per fare fronte alle esigenze di una moderna protezione civile. Per tutti, la nuova normativa è un’opportunità di crescita: uno dei fattori di eccellenza e qualificanti del Codice è infatti proprio la previsione di attività formative che verranno organizzate dalle Regioni in favore delle amministrazioni locali.

Il varo della legge delega sulla protezione civile, a marzo del 2017, ha beneficiato di un’accelerazione anche sull’onda emotiva degli eventi sismici in Italia Centrale che sono iniziati nell’estate del 2016 protraendosi a lungo. Lei sostiene – e lo ha ribadito anche nell’incontro a Napoli – che questa spinta emotiva, pur apprezzabile, era immotivata. Perché?
Beninteso, non posso che essere soddisfatto dell’accelerazione nell’avvio di un processo di riforma in cui credo molto. Ci tengo però sempre a sottolineare che gli strumenti per operare in emergenza nelle ore, giorni e mesi successivi al terremoto del 24 agosto 2016 e le terribili scosse che sono seguite c’erano già, e che all’emergenza abbiamo fatto fronte con la normativa vigente. Questa è una legge più di sistema, che tiene conto di tutto il ciclo della funzione della protezione civile, dalla previsione alla prevenzione alla gestione e superamento dell’emergenza. Spesso si confonde la gestione di un evento di grande impatto come un sisma – che richiede misure straordinarie necessariamente contenute in decreti legge, sia perché ogni emergenza è diversa dalle altre sia per la necessità di introdurre norme specifiche anche ai fini della ricostruzione –, con la normativa di protezione civile.

Quali altre novità qualificanti sono state introdotte in fatto di emergenza?
Molte sono le novità introdotte anche nella gestione delle emergenze a partire dalla durata massima della dichiarazione dello stato di emergenza portato a 12 mesi prorogabile di altri 12 mesi. Mi preme sottolineare però la novità dell’introduzione dell’istituto della Dichiarazione dello stato di mobilitazione del servizio nazionale della protezione civile.

Che cosa prevede?
È un’innovazione molto importante, per esempio in caso di pericolo di alluvione o di altro evento prevedibile, perché consente un intervento – operativo e finanziario – del sistema nazionale anche in fase preventiva. In altre parole: non si attende più l’emergenza vera e propria per poter attivare risorse e mezzi. È una misura che tutela le amministrazioni che hanno responsabilità operative e, allo stesso tempo, fa sì che lo Stato centrale possa esser loro più vicino, anche sul piano concreto.

Ingegner Curcio, torniamo ai piani comunali previsti dal progetto “Protezione Civile 2.0 – Comune Sicuro”. A che punto siamo con questa esperienza? Si può suddividere territorialmente l’attività di comuni virtuosi e meno virtuosi in questo senso?
Anzitutto smentiamo il luogo comune di un Nord virtuoso rispetto a un Sud che lo è meno. Nella mia esperienza, ho visto ottime iniziative di prevenzione per esempio in Piemonte o in Liguria, ma anche nel catanzarese, per giunta in un comune commissariato. In Calabria è stato svolto un lavoro egregio per la prevenzione del rischio idrogeologico. I cittadini hanno partecipato anche con la loro memoria storica e in questo senso è stato prezioso il contributo dei più anziani. Il loro ricordo delle passate emergenze è prezioso per individuare l’evoluzione e la dinamica di certi fenomeni calamitosi.

Quindi è realistica l’ipotesi, come è stato ribadito anche nell’incontro a Napoli, di piani “social”, ossia di strumenti pianificatori che, grazie alla tecnologia, permettono a chiunque di conoscere con precisione i rischi che incombono sui territori dove si vive e quindi di regolarsi di conseguenza ed essere pronti alle emergenze?
È sicuramente uno scenario suggestivo, e non irrealizzabile, ma il cammino da percorrere è ancora lungo. La tecnologia è importante, ma ad essere fondamentale è la conoscenza approfondita del territorio e una cultura del rischio diffusa all’interno delle comunità che di questi strumenti devono poter fare un uso consapevole. E poi, anche con le tecnologie più sofisticate, se mancano le procedure diventa impossibile organizzare la prevenzione e le emergenze.


Ingegner Curcio, da più parti arrivano sollecitazioni per varare un sistema di assicurazioni per gli immobili privati contro il rischio di calamità naturali. Qual è la sua posizione a riguardo?
È una questione da tempo sotto analisi e che implica anche valutazioni di carattere politico. In un paese come il nostro, caratterizzato da un’esposizione altissima al rischio sismico, al rischio alluvione e, in ampie aree, anche a quello vulcanico, non si può pensare che il problema della copertura assicurativa possa essere affrontato dal singolo cittadino, per ragioni di carattere organizzativo e di onerosità economica. Del resto non si può nemmeno dimenticare che le assicurazioni operano in una logica di mercato e non possono certo agire come organizzazioni benefiche. In Messico, paese dall’elevato rischio sismico, è stato varato un sistema di protezioni assicurative. L’esperienza messicana potrebbe costituire un’utile falsariga per possibili soluzioni. Credo che il nuovo esecutivo debba prendere in esame la questione.

Dunque è un tema in agenda?
Nella mia agenda sicuramente sì.

a cura di Giovanni Capozzi

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